venerdì, 10 ottobre 2025 | 12:23

Rinuncia da parte di un socio non residente a un credito verso una società partecipata residente

Il credito originariamente sorto in capo al socio non residente rimasto sempre nella sua disponibilità non può determinare l'emersione di una sopravvenienza imponibile in capo alla partecipata residente, anche in assenza di attestazione del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia da parte del socio alla società (Norma di comportamento in materia tributaria 09 ottobre 2025 n. 232)

Rinuncia da parte di un socio non residente a un credito verso una società partecipata residente

Il credito originariamente sorto in capo al socio non residente rimasto sempre nella sua disponibilità non può determinare l'emersione di una sopravvenienza imponibile in capo alla partecipata residente, anche in assenza di attestazione del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia da parte del socio alla società (Norma di comportamento in materia tributaria 09 ottobre 2025 n. 232)

Il regime fiscale delle rinunce ai crediti da parte dei soci riconosce la non imponibilità solo per la parte che non eccede il valore fiscale agli stessi riconosciuto in capo al socio che ha rimesso il debito (art. 88, co. 4-bis del TUIR).

La norma in esame assimila la remissione ad un apporto di capitale solo per la parte che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito, valore che il socio deve attestare mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio. In assenza di tale dichiarazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero e tutto il valore nominale del credito è considerato, ai fini fiscali, una sopravvenienza attiva imponibile in capo alla società beneficiaria della remissione, a prescindere dalle modalità con cui viene formalizzata da parte del creditore la volontà di remissione e dalla rappresentazione contabile che i soggetti coinvolti danno della rinuncia al credito nelle loro scritture contabili e nei rispettivi bilanci, secondo i principi contabili applicati.

L'intento del legislatore è quello di disporre una funzione di chiusura del sistema impedendo gli arbitraggi potenzialmente realizzabili in ragione dei diversi regimi fiscali che in precedenza si applicavano al creditore originario e alla partecipata debitrice.

Proprio per questo ci sono circostanze in cui l'applicazione acritica della norma risulterebbe inappropriata rispetto alle finalità perseguite e comporterebbe la violazione del principio di proporzionalità derivato dall'ordinamento unionale e codificato nell'ordinamento tributario interno.

In particolare, nell'ipotesi di rinuncia da parte di un socio non residente di un credito originariamente sorto in capo allo stesso e sempre rimasto nella sua disponibilità, tutte le vicende di gestione del credito (i.e. perdite o svalutazioni fiscalmente rilevanti nella giurisdizione di residenza del socio), risulterebbero indifferenti per l'ordinamento italiano e, di conseguenza, eliminerebbero la necessità di assoggettare a imposizione la corrispondente sopravvenienza attiva che si determina in capo alla società partecipata beneficiaria della remissione del debito. La vocazione naturalmente domestica della disposizione trova quindi una conferma nella ratio della stessa, evitare gli arbitraggi.

Infatti, qualsiasi disallineamento tra il valore fiscalmente riconosciuto in capo al socio creditore non residente e la società partecipata debitrice non determinerebbe alcun vantaggio fiscale in capo al primo, che continuerebbe a essere tassato in base alle regole della propria giurisdizione di residenza anche con riferimento all'attribuzione del valore fiscale del credito. Un'ulteriore conferma sta poi nella lettera della norma, che prevede l'attestazione da parte del socio del valore fiscalmente riconosciuto del credito oggetto di remissione attraverso l'atto sostitutivo di notorietà. Il socio non residente, infatti, potrebbe attestare il valore fiscale del credito esclusivamente sulla base delle regole vigenti nella propria giurisdizione di residenza, situazione che potrebbe produrre effetti distorsivi nel caso, non improbabile, che le disposizioni applicabili in altre giurisdizioni siano sensibilmente diverse, causando trattamenti fiscali differenti per fattispecie sostanzialmente uguali.

Peraltro, la rinuncia da parte del socio non residente ad un credito originariamente sorto in capo allo stesso e sempre rimasto nella sua disponibilità, appare un evento sostanzialmente sovrapponibile a quello della rinuncia al credito verso la società partecipata da parte di una persona fisica residente che non eserciti attività di impresa: in tale situazione, anche secondo l'Amministrazione finanziaria, non potendosi produrre alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale, non vi è alcuna necessità per la società partecipata di applicare il comma 4-bis dell'articolo 88 del TUIR e contemporaneamente si rende superflua la dichiarazione del socio remittente alla società partecipata del valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia.

Infine, va anche osservato che l'eventuale deducibilità fiscale di perdite o svalutazioni nella giurisdizione di residenza del socio creditore non avrebbe attitudine ad innescare reazioni nell'ordinamento italiano volte a rimediare ad eventuali asimmetrie nel trattamento tributario da parte di due o più giurisdizioni, cioè situazioni riconducibili ai disallineamenti da ibridi. Infatti, la disciplina di contrasto a questi fenomeni risulta di stretta applicazione alle fattispecie espressamente contemplate dalla normativa e la rinuncia ai crediti non rientra tra queste. Pertanto, la rinuncia di un credito sorto originariamente in capo al socio non residente non rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 88, comma 4-bis, del TUIR e rende superflua anche l'attestazione del valore fiscale del credito rinunciato.

di Daniela Nannola

Fonte Normativa