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martedì, 17 settembre 2024 | 13:08

Conversazioni registrate utilizzate dal dipendente per esigenze difensive

L’utilizzo in giudizio di registrazioni di colloqui fra dipendente e colleghi sul luogo del lavoro è legittimo e non necessita del consenso degli stessi quando sia funzionale alla tutela di un proprio diritto (Cassazione - ordinanza 16 settembre 2024 n. 24797, sez. I civ.)

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Conversazioni registrate utilizzate dal dipendente per esigenze difensive

L’utilizzo in giudizio di registrazioni di colloqui fra dipendente e colleghi sul luogo del lavoro è legittimo e non necessita del consenso degli stessi quando sia funzionale alla tutela di un proprio diritto (Cassazione - ordinanza 16 settembre 2024 n. 24797, sez. I civ.)

Il caso

I dirigenti di una società proponevano reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi dell'art. 77 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), per la cancellazione e/o la distruzione di un file audio contenente la registrazione di una conversazione intrattenuta da un dipendente con essi, nel contesto di una riunione indetta dalla dirigenza e svoltasi diversi anni prima. Tale file era stato prodotto da altri dipendenti non presenti alla riunione, in occasione di udienze relative a procedimenti di lavoro contro la società.
Il Garante respingeva la richiesta dei dirigenti, rilevando che le operazioni di trattamento erano state svolte per esclusive finalità di contestazione di addebiti nell'ambito del rapporto di lavoro; tuttavia l’opposizione dei dirigenti a tale provvedimento del Garante veniva accolta dal Tribunale di Venezia, che dichiarava l'illiceità dei trattamenti posti in essere, sul presupposto che la registrazione fosse stata eseguita senza che vi fossero esigenze difensive dell'autore della stessa e fosse stata conservata e, poi, ceduta ai colleghi, per essere prodotta a distanza di anni nelle rispettive cause di lavoro contro la stessa azienda; ad avviso del giudicante, dunque, sebbene esistente un contenzioso dei dipendenti con la società, il trattamento dei dati era comunque avvenuto in violazione dei principi di cui all'art. 5 GDPR.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte, ribaltando la sentenza del Tribunale, ha confermato la legittimità del provvedimento del Garante, evidenziando, preliminarmente, che alla data in cui era avvenuta la registrazione non era ancora in vigore il GDPR, vigente dal 25 maggio 2018, e il conseguente D.lgs. n. 101/2018; registrazioni del tipo di quella eseguita in data 25 novembre 2016 erano consentite, integrando la fattispecie di cui all'art. 24, lettera f) del D.lgs. 196/2003, che escludeva l'esigenza del consenso dell'interessato, qualora le registrazioni venissero utilizzate al fine di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati fossero trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Inoltre, come ricordato dai giudici di legittimità, in linea generale, la utilizzazione dei dati pur senza il consenso dell'interessato è ritenuta lecita quando si tratti di difendere un diritto fondamentale; quando i dati siano stati utilizzati in giudizio, come nel caso di specie, è il giudice di quel giudizio a dover bilanciare gli interessi in gioco ed ammettere o meno le prove che comportano il trattamento di dati di terzi, posto che la titolarità del trattamento spetta in questo caso all'autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze, rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo.
Pertanto difendersi in giudizio, specie qualora la controversia attenga a diritti della persona strettamente connessi alla dignità umana -e quindi i diritti dei lavoratori, secondo quanto dispone l'art. 36 Cost.- è un diritto fondamentale e nel bilanciamento degli interessi in gioco il diritto alla difesa in giudizio può essere ritenuto prevalente sui diritti del l’interessato al trattamento dei dati personali.
Il trattamento dei dati personali in ambito giudiziario, anche nel vigore della disciplina di cui al D.lgs. n. 196 del 2003, non è soggetto all'obbligo di informazione ed alla previa acquisizione del consenso, purché i dati siano inerenti al campo degli affari e delle controversie giudiziarie che ne scrimina la raccolta, non siano utilizzati per finalità estranee a quelle di giustizia in ragione delle quali ne è avvenuta l'acquisizione, e sussista il provvedimento autorizzatorio.
Il Collegio non ha, infine, mancato di evidenziare che anche nella vigenza del GDPR vadano confermati i consolidati principi in ordine alla legittimità del trattamento di dati personali senza il consenso dell'interessato, purché effettuato nel rispetto del criterio della ''minimizzazione" ove sia indispensabile per la tutela di interessi vitali della persona che li divulga o della sua famiglia.
Nel caso sottoposto ad esame, dunque, non poteva condividersi la decisione del Tribunale che, una volta accertato che della registrazione si era fatto uso in un processo, aveva errato nel ritenere che tale comportamento violasse la normativa sul trattamento dei dati personali, sovrapponendo così indebitamente la propria valutazione a quella del giudice del processo ove questi dati erano stati utilizzati; peraltro facendo riferimento a parametri inconferenti come la circostanza che la registrazione fosse stata effettuata da un soggetto diverso da quelli che l'avevano utilizzata, senza tenere conto che la successiva utilizzazione era avvenuta per finalità difensive, peraltro in un contenzioso di lavoro, tendenzialmente improntato alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale del lavoratore subordinato.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa